Il Rumore

Aprì gli occhi e fissò la parete. La luce notturna tremolava e l’ombre saltellavano capricciose tutt’intorno alla stanza 2×4. Rimase immobile in ascolto. Cosa l’aveva svegliata? Tese l’orecchio per afferrare un suono, un rumore: niente.
Alzò gli occhi e guardò la finestra in alto. Buio. Dell’alba neppure un segno. Spostò allora lo sguardo verso la lampada del soffitto. Era accesa solo la tremolante luce notturna. Che ora era? Aveva dormito un’ora? Cinque? Impossibile dirlo. Stava stesa su un fianco e lentamente, inconsapevolmente, ritrasse le gambe e assunse una posizione fetale aggrappandosi ogni tanto disperatamene al bicchiere.
Gli occhi presero a lacrimarle a furia di fissare la luce tremolante e intanto sentiva l’ombra volteggiare nella stanza. Batté le palpebre. Gli occhi le si riempirono di lacrime e quando li aprì la luce brillò e la stanza prese a rollare dolcemente come una piccola barca in mare agitato. Le pareti pulsavano e ondeggiavano minacciando di chiuderlesi addosso. Ebbe un brivido e batté lesta le palpebre finché gli occhi furono asciutti. La stanza si fermò. Continuava a non sentire niente: solo il silenzio ostile.
Qualcosa l’aveva svegliata, ma cosa? Un sogno? Si sforzò di ricordare: niente. Non poteva essere stato un sogno.
Guardò a lungo la parete e l’ombre palpitanti tendendo l’orecchio per sentire qualcosa, qualsiasi cosa: silenzio, solo silenzio, greve, minaccioso.
All’improvviso ebbe dei crampi dolorosi alle mani. Provò ad unirle.
Uno sforzo. Sulle prime offrirono resistenza e continuarono a stringere il bicchiere ma poi, lentamente, dolorosamente, le dita si tesero e lei si concentrò tutta nello sforzo. Mentre il dolore a poco a poco diminuiva, si guardò le mani. All’improvviso alzò il capo di scatto, la vista le si offuscò e lei si chiese perché aveva sobbalzato. I muscoli le si tesero ancor più mentre tendeva l’orecchio.
Poi lo sentì. O no? Era così fievole che non poteva essere sicura. Cos’era, un sogno? Stava ancora dormendo???? No. Era sveglissima. Il dolore alle mani, la luce tremolante, le strane ombre, tutto era reale. Doveva essere reale! Lo aveva sentito davvero quel rumore. Ne era sicura. No? Reale anch’esso…
Lentamente allungò le gambe si alzò e si mise a sedere. Girò il capo finché si trovò a guardare dritto verso la porta chiusa. O non era chiusa???? Era talmente concentrata a sentire quel rumore che poco a poco prese a sporgersi tutta quanta verso la porta, in quella direzione. Spostò lo sguardo per guardare, con timorosa cautela, attraverso lo spioncino a finestrella della porta. Sospirò forte e sobbalzò al rumore inatteso. Fuori il corridoio era buio e senz’ombre. Tutto era normale. Poi di nuovo il rumore le perforò l’orecchio. Le diede i brividi. Perché era così spaventata? Non era ragionevole.
Il rumore doveva essere reale. Non poteva esserselo immaginato. Era al sicuro dopotutto. Non aveva niente da temere. E poi la porta era chiusa. Chiusa? La guardò. Un gelo incredibile, giù nel profondo, stava facendola rabbrividire. Chiusa? La guardò. Cosa avrebbe fatto se invece era aperta? Dove avrebbe potuto nascondersi. In quella stanzetta non c’era modo di nascondersi, niente dietro cui accucciarsi. Solo il tavolo accanto alla sedia. Se non era chiusa poteva spalancarla con un calcio e guardando dalla parte opposta a quella del rumore fuggire … Dove????
Dove si trovava? Non aveva importanza. In ogni caso non sarebbe potuta uscire di lì. Scosse il capo. Sapeva che non poteva uscire là fuori. Non aveva idea di cosa c’era là fuori in quel buio … quel buio che nascondeva il rumore. Ebbe un altro brivido. Doveva arrivare fino alla porta per vedere cosa c’era là fuori… Al diavolo quella luce! Per come tremolava lei non riusciva a vedere se la porta era chiusa. Doveva scoprire se era chiusa o no! Sollevò leggermente il capo e si sporse ancora di più verso la porta. No-no, non si sentiva niente. Quanto tempo era passato da quanto aveva sentito quel rumore???? Non ne aveva idea. Cercò di riflettere. Si confuse subito e rinunciò al tentativo. Poi si rese conto che non aveva idea di che giorno fosse.
Che mese? Oddio. È ottobre, no? Sì esatto. È ottobre. Sì, ne sono sicura. Deve essere … senza smettere di fissare la porta e la finestrella. Ma è passato tanto tempo da quando … quel rumore … Troppo? Stava là fuori ad aspettarla? Che cosa? Non era niente. Perché qualcuno … qualcosa … dovrebbe star là fuori al buio ad aspettarla? Oddio. Per piacere. Per piacere: un piagnucolio emesso a bocca chiusa. Il timore che oltre quella porta potesse esserci qualcosa era più forte della paura che la teneva inchiodata su quella sedia.
Poi uno spasimo le percorse il corpo e la spinse in avanti. Avanzò, a piedi nudi, silenziosa, verso la porta. A meno di mezzo metro da questa si fermò di colpo. Guardò fisso. Deve essere. Non può non essere. Chiuse gli occhi. Oddio. O Dio! Dio!! Sempre con gli occhi chiusi spinse le braccia in avanti. Il rumore della porta che sbatteva ruppe il silenzio come il rintocco d’un campanone. Spalancò gli occhi e fissò per un attimo la porta, assimilando completamente il senso di quel suono poi quasi crollava a terra mentre all’improvviso il corpo teso si rilassava alla constatazione che la porta era chiusa. Chiusa! Era al sicuro. Grazie a Dio: e sobbalzò al suono improvviso della propria voce. Poi a poco a poco il viso le si distese in un sorriso … poi s’accigliò. Al sicuro da che? Da chi? Scrollò le spalle. Che importanza aveva ormai? La porta era chiusa. Lei era al sicuro.
Ma cos’era quel rumore che aveva sentito? Quanto tempo fa ormai l’aveva sentito? Un’ora? O soltanto pochi minuti? Un giorno?


Continua ….

Da un racconto di Hubert Selby Jr. (Brooklyn N.Y. 23 luglio 1928 – Los Angeles 26 aprile 2004)
Titolo originale dell’opera “Song of the silent snow” (1986)
Ediz. italiana: Canto della neve silenziosa Traduzione di Attilio Verardi (1989) ed. Feltrinelli
Liberamente tratto ed elaborato da Gabriele Agostini

Gli Autori

Vanessa D’Orazi, Paolo Gallì, Giuseppe Mascali, Livia Mazzani, Domenico Oriani, Danilo Rossi